Le fontane di Quarona
L’acqua a Quarona: pozzi lavatoi e fontane.
Elemento talmente importante che ci si accorge di quanto lo sia solo quando non è disponibile!
A Quarona, l’approvvigionamento dell’acqua è avvenuto, nel corso dei secoli, inizialmente attraverso sorgenti, corsi naturali, (torrente Cavaglia, fiume Sesia), poi corsi artificiali: (rogge e canali), quindi pozzi, lavatoi, fontane, ed infine acquedotti privati, acquedotto comunale pubblico, fino ad avere attualmente la comodità dell’acqua in casa per tutti.
Importantissima fu nei secoli la regolamentazione pubblica di questo bene ed attentamente curata dalla comunità stessa che intendeva tutelare l’uso e la distribuzione dell’acqua fin dagli statuti medioevali.
Per quanto riguarda l’ottocento, ho potuto consultare alcuni regolamenti comunali, dei quali ritengo interessante riportare, a titolo esemplificativo, qualche articolo inerente l’uso delle acque.
Da: REGOLAMENTI MUNICIPALI PEL COMUNE DI QUARONA DEL 1876
Art. 11, pag. 13
Non potrassi far macerare canape in distanza non minore di 100 metri dall’abitato e della strada provinciale; ed è pure vietato a chiunque di porre in macero la canape nel torrente Cavaglia, nei ruscelli o fosse le cui acque vengono o venissero poscia derivate nello stesso torrente sopra l’abitato, dovendo tali acque essere nette e scevre da qualsiasi immondizia perché potabili; come è proibito di lavare nel detto torrente o corso d’acqua sopra l’abitato.
Art. 16, pag. 14
È proibito bagnarsi nei canali serbatoi, acquedotti od altro deposito destinato alla condotta o conservazione delle acque che si usano alla bisogna domestiche, o farvi abbeverare armenti o gettarvi animali morti od anche vivi per annegarli, od immondizie; lavare panni od altro e cagionare in qualunque modo la corruzione delle acque potabili e la loro dispersione, deviazioni delle fontane sorgenti e rivi.
Art. 17, pag 14
In prossimità dei pozzi e delle fontane, ed altri serbatoi d’acqua potabile non si possono costrurre latrine, pozzi neri, e neppure fare ammazzi di letame, spazzature ed immondizie che in qualunque maniera sia capace di alterare con infiltrazioni la purezza delle acque.
Art. 18, pag.15
I proprietarii di case cureranno regolarmente la spazzatura e spurgo dei pozzi, con tutte le diligenze necessarie perché l’acqua si mantenga pura e salubre.
Da: REGOLAMENTO DI IGIENE COMUNE DI QUARONA-SESIA DEL 1910
Art.110, pag. 28
La casa sarà provveduta di acqua potabile di buona qualità e pura, in quantità sufficiente. Mancando un acquedotto, il pozzo o la cisterna, provvista, questa, di pozzolo e di filtro a sabbia, devono avere pareti impermeabili, essere muniti di pompa chiusi alla bocca ed ubicati, possibilmente a monte del pozzo nero e della concimaia, da cui disteranno non meno di 10 metri.
Il pozzo sarà preferibilmente trivellato ed in questo caso la distanza sopra indicata potrà essere ridotta, quando si possa egualmente ottenere la condizione voluta dal primo capoverso.
Art. 114, pag. 29
Le stalle devono essere convenientemente aerate ed illuminate, difese dall’umidità del terreno e munite di pareti intonacate e di pavimenti impermeabili.
Saranno, inoltre, munite di adatti scoli, i quali dovranno immettere in pozzetti impermeabili e coperti, a meno che non siano riversati direttamente in corpi d’acqua perenni e copiosi.
Art. 115, pag. 29
All’abbeveraggio del bestiame si provvederà con vasche di materiale facile a pulirsi e perfettamente lavabile.
Art. 126, pag. 31
È vietata la macerazione delle piante tessili nelle acque correnti e nei bacini d’acqua di uso pubblico.
Dovrà invece farsi in apposite vasche distanti almeno 200 metri da edifizi pubblici a da aggregati di abitazioni di altre 100 persone, ed almeno di 50 metri da case isolate, pozzi, acquedotti, cisterne o serbatoi d’acqua.
Art. 127, pag. 32
Le vasche per macerazione non dovranno col loro fondo raggiungere la falda acquea sotterranea, dovranno avere pareti a picco e raccordate a lieve curva negli angoli, essere provviste di un canale di scolo che possa vuotare completamente la vasca da chiudersi con adatta saracinesca munita di sfioratore e di altezza adatta onde l’acqua di sopravvanzo possa durante la macerazione liberamente fluire.
I proprietari di vasche di macerazione già esistenti dovranno metterle nelle condizioni sopra esposte e coloro che intendono di provvedersi di una di dette vasche dovranno presentare un progetto di massima all’ufficio comunale, coll’indicazione delle località scelte.
Art. 128, pag. 32
Durante la macerazione l’acqua dovrà essere continuamente ricambiata ad acqua corrente, o quanto meno dovrà essere cambiata molto sovente e mantenuta ad un livello da ricoprire continuamente le sostanze di macerazione.
Art. 129, pag 32
Finita la macerazione la vasca dovrà essere totalmente svuotata, ripulita ed esportato il fondo e sparso sul terreno circostante il materiale di deposito in essa formatosi.
Art. 130, pag. 32
È vietato immettere nei corsi d’acqua scoperti attraversanti il Comune, le acque di rifiuto delle latrine lavandini, stalle, concimaie ed ogni genere di acque immonde, casalinghe o provenienti da manifatture, è vietato di gettarvi sostanze luride, spazzature, carogne di animali, ecc.
Art. 131, pag 32
È pure vietato immettere le acque immonde di cui sopra nei canali coperti destinati a ricevere le acque meteoriche, salvo che per quelli dei quali, il Consiglio comunale, osservate le prescrizioni da darsi volta per volta, riterrà conveniente concedere tale amministrazione.
L’autorizzazione in via ordinaria sarà concessa quando su parere dell’Autorità superiore, il canale destinato a tale scopo presenti i requisiti igienici necessari, sia nel percorso che per lo sbocco. In via straordinaria potrà concedersi sempre quando l’interessato provveda ad una depurazione delle acque immonde, in modo ritenuto sufficiente dall’ufficio sanitario comunale.
Tale concessione sarà però sempre subordinata alla superiore autorizzazione ed in caso di contestazioni le spese per le verifiche sono a carico del concessionario.
Art. 132 pag.33
Si potranno immettere previa autorizzazione dell’Autorità superiore, le acque immonde e le acque di rifiuto delle latrine, lavandini, stalle in canali destinati a tale scopo impermeabili ed aventi i requisiti igienici, necessari, sia nel percorso che nello sbocco, e qualora abbiano acqua di lavaggio in abbondanza e sia provvisto alla depurazione naturale od artificiale delle acque immonde.
Art. 133, pag. 33
All’infuori dei casi sopra indicati tutte le acque luride sia delle latrine che di lavandini o di qualunque altro genere dovranno essere immesse in fosse fisse ed in fosse mobili.
Art. 138, pag. 34
Di ogni nuova casa da costruirsi sia nel concentrico del Comune, che nel territorio rurale del medesimo dovrà presentarsi un piano particolareggiato all’Ufficio comunale in cui dovrà pure risultare la distanza della falda acquea dalla superficie del suolo determinata con scavi o colla misurazione fatta su pozzi scavati nelle vicinanze.
Art. 143, pag. 35
Ogni casa rurale nel concentrico dovrà essere provvista di buona acqua di condotta, di sorgente, di pozzo o di cisterna. Nei due ultimi casi e specialmente quando l’acqua debba servire anche per una sola famiglia, ma cumulativamente alle persone ed al bestiame dovrà essere munita di pompa e di secchia fissa alla catena. In nessun caso sarà ammesso che si abbeveri il bestiame dove si attinge acqua per uso domestico o per uso potabile.
NOTA: In entrambi i regolamenti non emerge alcun cenno di qualsivoglia tipo di distribuzione di acqua in paese.
Nell’ottocento il tessuto sociale di Quarona, era costituito da un mondo agro-silvo-pastorale, tant’è vero che, da un censimento fatto nel 1882 e riportato dal “Regolamento per l’impianto di una latteria sociale nel comune di Quarona”, ho rilevato la presenza di 132 bovine, disperse in ben 80 stalle: 40 da una bovina, 27 da 2, 12 da 3 ed una da quattro (famiglia Rolandi fu Giovanni), veramente molte!
L’economia era prevalentemente agricola, integrata da piccole industrie di supporto, che traevano energia e utilità dall’acqua delle Rogge dei mulini o molinare, ma il loro utilizzo era tra i più svariati; fra questi era quasi sempre escluso quello irriguo, per l’ovvia ragione che avrebbe portato ad un impoverimento della massa d’acqua necessaria agli utenti più a valle.
A Quarona la Roggia dei Mulini o Molinara, partiva dal torrente Cavaglia, al suo ingresso in paese, lo attraversava nella parte piana sotto Valmaggiore e Lombaretto (via Mulini) e sfociava in Sesia proprio dove c’era la Chiesa di Santa Maria della Pietà (oggi ponte della Pietà).
Lungo la roggia fiorivano molteplici attività che si ripetevano anche nei paesi limitrofi come:
- Mulini a ruota per la trasformazione delle granaglie in farine.
- Torchi per la produzione dell’olio di noci, che veniva impiegato indifferentemente per l’alimentazione e per l’illuminazione serale delle case.
- gli stessi torchi servivano anche per la produzione locale di vino che non era del tutto sufficiente ai fabbisogni del paese, ma era comunque notevole.
- Fucine da fabbro, officine per la lavorazione del ferro e per la produzione dei principali attrezzi agricoli.
- C’erano le concerie (faiterìe), per cui si pensa alle mandrie, ai greggi, ossia a tutto quel mondo pastorale che era produttivo a vari livelli, sino a quello della lavorazione delle pelli,
- C’erano le filande,
- C’erano delle piccole imprese per la produzione della carta,
- C’erano delle vasche per l’allevamento del pesce (peschiere),
- C’erano i borri o vasche per la macerazione della canapa, che costituiva la fase intermedia della lavorazione, fra la coltivazione e la tessitura di questa importante fibra tessile allora largamente diffusa per la realizzazione di “pezze” utili al confezionamento della biancheria intima, degli abiti, delle lenzuola, dei copriletti, oltre che filtri per il bucato fatto con la cenere “ciandru”, ecc.
Una nota curiosa è che dalle statistiche ottocentesche, ho potuto rilevare un certo commercio di pesce a Quarona, cosa che oggi non esiste più; è segno quindi che c’erano anche pescatori di professione o, quanto meno stagionali e lo trasportavano conservandolo con i mezzi di allora, ma c’erano le ghiacciaie dove accumulavano la neve durante l’inverno, come quella ancor’oggi visibile all’imbocco di Varallo vicino alla casa di Riposo.
Sappiamo, da altre fonti, che veniva commercializzato anche il gambero di fiume, e la pesca non poteva aver luogo che lungo la Cavaglia o la Sesia, dove c’erano i prati di Sesia, presenti anche nel Catasto D’Enricis del 1797, ma che oggi non ci sono più perché sono stati portati via dalle alluvioni successive.
A proposito di Sesia, l’unico ponte che esisteva era quello di Agnona; costruito nel 1786 (impropriamente chiamato napoleonico perché in quel periodo era stato utilizzato come dogana tra i due Stati frontalieri);
La traversata del fiume veniva quindi effettuata con una barca che faceva servizio di traghetto. Questa barca era di proprietà della Parrocchia di Doccio e ancor oggi rimangono, nei toponimi, sulle due sponde, le due denominazioni di via della barca.
Nell’Archivio parrocchiale di Quarona ho trovato la registrazione della grande alluvione del 1755, meticolosamente riportata dall’arciprete Farinolio:
Hoc anno 1755 die 14 octobris in tota hac Valle Sessites tanta aquarum exundatio sequuta (secuta) est, ut similis post hominum memoriam nulla. Multi pagi domibus eversis, ablato solo, hominibus, armentisque, alicubi etiam occisis innumera a suis fluminibus damna perpessi sunt, ut Alanea a Sessite, Rassa a Sorba, Carcoforum a Sermentia, Roccha a Pascono, quod ante parochialem ecclesiam ponte destructo, aedibusque nonnullis, latissimum sinum aperuit. Hic Quaronae ab ecclesiae pareti S. Bononii Ducij, qui vix stetit incolumis, ad hanc nostram ripam, pratis interiacentibus qua vastatis, qua raptus unus fluminis alveus erat. Coelum subrubeum intra fulgura, et tonitrua horribilia fetidam, limosamque aquarum lapsu praecipiti totam pene diem deferebat, quae hic notata ad perenne … monumentum posteritati transcripsi Ego Rev. Fr. Farinolius.
In questo anno 1755, il giorno 14 ottobre in tutta questa Valle Sesia ci fu un’alluvione tanto intensa, che nessun’altra simile è ricordata a memoria d’uomo. Molti villaggi-paesi per le case abbattute, per i terreni, le persone e gli armenti portati via, in alcuni luoghi anche uccisi, patirono innumerevoli danni dai loro stessi corsi d’acqua, come Alagna dal Sesia, Rassa dal Sorba, Carcoforo dal Semenza, Rocca dal Pascone, il quale davanti alla chiesa parrocchiale, dopo aver distrutto un ponte ed alcune case, aprì una larghissima voragine. Qui a Quarona dalla parete della chiesa di S. Bononio a Doccio, che a stento rimase senza danni, sino a questa nostra sponda, compresi i prati che stanno in mezzo, in alcune parti scavati, in altre portati via, si era formato un unico alveo del fiume. Sotto un cielo arrossato fra lampi e tuoni orribili, trasportava fra le due sponde per quasi un giorno intero un’acqua puzzolente e fangosa per le piogge violente ed eccessive. Queste notizie qui annotate quale memoria perenne trascrissi per i posteri Io Rev. Francesco Farinolio.
Inoltre, un’altra citazione di non chiara leggibilità:
1780 die 25 Augusti, aexundatio Sessitis tantum sic Deo ?discodenente ?renovata est ?propeo ?planuram ut liquori has nives die 24 in montibus ?tolagosas.
Il 25 agosto 1780 ci fu un’alluvione della Sesia così grande che Dio …… ed acqua e neve il giorno 24 sui monti ……
Considerando che la maggior parte delle case era coperta in paglia e che tutte le fonti di calore, sia per cucinare che per riscaldarsi, derivavano dal fuoco prodotto dalla combustione del legname, il rischio incendi era veramente elevato.
Abbiamo documentazioni precise dal 1700 ad oggi, di molti incendi, anche gravi, che coinvolgevano interi quartieri; spesso la possibilità di spegnimento era impedita dall’impossibilità di reperire abbondanti quantità d’acqua in tempi rapidissimi, proprio perché l’approvvigionamento principale avveniva tramite i pozzi.
Sempre nell’archivio parrocchiale di Quarona, ho trovato la documentazione di questi incendi, che riporto integralmente, perché utile alla comprensione del periodo storico
- Nell’anno 1712, il 18 Agosto, a Valmaggiore, c’è stato un incendio, come riportato in un quadro votivo della Chiesa della Madonna Della Neve.
- Nell’anno 1784 delli 3 agosto giorno di martedì è caduto il fulmine nel fienile di Francesco Borrino, al Vico di questo luogo di Quarona. Dirimpetto al pozzo detto “della Spinella”, subitamente si eccitò un furioso incendio il quale consumò tutte le case e quasi tutte le cose che contenevano da questa sinistra parte della reggia strada, una eccettuata coperta a coppi proprio di Giuseppe de Filippi Rassotto, e furono dieci puramente di questo rione non contata la stalla e si comunicò l’incendio anche dall’altra parte, e similmente ne consumò altre tre cioè di Giuseppe Lanzio fu Giovanni Battista, di Giuseppe Scaramiglia, e di Giovanni Battista Barone figlio separato da Gio(vanni). Apportò gran danno a quattordici famiglie, ma per aiuto di Dio non perì persona alcuna e pochissimo bestiame.
Sua Maestà Vittorio Amedeo, Re di Sardegna, nostro caritatevolissimo sovrano ha fatto pagare lire 1500 di Piemonte dopo qualche mese, le quali sono state distribuite dal Pretore di Varallo ai poveri incendiati in proporzione di una loro povertà, indicata da me. Arciprete Farinolio.
- 1796, addì 6 aprile, giorno di martedì dopo la Santa Pasqua per colpa di fuoco di pistola imprudentemente ma accidentalmente fatto cadere nello strame e quindi acceso col mezzo di sottile vento, che spirava alle ore dodici, qualche minuto, s’è alzato uno spaventoso incendio nelle case degli eredi Mognetti e Barone, poscia nella casa del signor Notaio Innocenzo Viotti nella quale restavano consumate tutte le suppellettili, tutti i mobili e le moltissime scritture del suo studio e di molti altri antichi Notai con inestimabile danno, e comune dalla sua casa si cominciò l’incendio al suo torchio e all’altra casa Mognetti, quelle che erano coperte a paglia indi alle case dei Fratelli Muzzi e a tutte le altre del cantone verso il Rigasco in tutte numero 26 compresa la casa del legato Muzzio del Coadiutore.
Sua Maestà, come sopra continuando il suo caritatevole sussidio mi ha fatto pagare lire 1100 piemontesi a sollievo degli incendiati che ha subito distribuito ai medesimi riportandone la quittanza particolare di ciascheduno, per mia cautela.
- 1797 addì 13 Gennaio alle ore 23 scoppiò un casuale incendio nell’aia delle case di Lucia Andreina vedova Muzio contigue al torchio dei Cantarelli, quale mercè la quiete dell’aria non si estese alle case opposte coperte a paglia, e si restrinse il danno ai soli coperti col fieno entrostante delle case suddette a riserva di un corpo coperto a coppi sino alle case dette dei Bonomi esclusivamente e del bestiame un solo vitello di detta Lucia vi rimase soffocato.
S. S. R. M. Carlo Emanuele, Ottimo Provveditore, nonostante l’esaurimento del regio erario e la sofferta dispendiosa guerra d’anni 4 continuatasi benignamente raccolti i supplicanti al bianco segno da me Arciprete Carlo Bertoncini trasmesso a S. E. il Cavalier Napione fece pagare £ 500 Piemontesi quali ho ripartite a proporzione di povertà e di sofferto pregiudizio, come segue: A Margherita Caldara vedova Miler £175, A Giovanni Piola del fu Vincenzo £150, A Lucia Andreina vedova Muzio £102,10 A Matteo d’Alberti £ 72,10, come da quittanza.
- 1821, Incendio nella casa di Rocco Vinzio e Maria Maddalena Rolandi.
(vedi lettera di Teresa Perincioli, madre di Maria Maddalena ePietro Rolandi, ed anche nei registri parrocchiali). - 1837, la mezza notte dalli 19 alli 20 di aprile manifestossi improvvisamente il fuoco nel coperto di paglia nella cascina di Pietro Defilippi nel cantone del Vico annessa alla casa di Carlo Defilippi le quali furono in un tratto, investite dalle fiamme cosicché il detto Carlo Defilippi non potè salvarsi che da una piccola fenestra dalla quale fu liberato dopo essere caduto il coperto e la di lui madre ottuagenaria avendo riportato varie scottature nell’atto di porsi in salvo ne ebbe in men di otto giorni a restar vittima nell’Ospedale di Varallo. Le fiamme, inoltre, si estesero nella casa di Domenico Defilippi ed in seguito in quella di Giovanni Folghera ove abbracciarono una gran quantità di fieno e di sboscamenti. Fu una grazia del Signore che più oltre non siano procedute, ed attesa la grande attività non ostante la scarsezza dell’acqua, si potè salvare quanto esisteva nelle stanze e nelle cucine a pian terreno. L’amministrazione Comunale ebbe raccorso a S.M. e si spera un qualche sussidio a favore dei danneggiati. Sua Eminenza Eccellentissima e Reverendissima a cui ebbi ricorso mi fece tenere una limosina di £ 150 che distribuii ai più bisognosi. Arciprete Chiara
- 1840, le ore 10 del mattino del 22 agosto, (vi fu un altro incendio).
Il primo metodo di approvvigionamento dell’acqua è stato quello di attingerla direttamente ai fiumi ed ai torrenti, Sesia e Cavaglia, ma la scomodità di lunghi percorsi per il suo trasporto, e per giunta sempre in salita, ha fatto preferire lo scavo di pozzi che potevano fornire acqua fresca e a portata di mano, anche se non troppo o non sempre abbondante.
Anticamente, a Quarona, ce n’erano diversi, sia privati che consortili; spesso venivano scavati sul confine tra due abitazioni, oppure si divideva la casa tracciando il confine proprio a partire da un pozzo esistente.
La classica struttura sotterranea cilindrica era generalmente completata da una costruzione esterna a pianta quadrata, che lo proteggeva dalle intemperie e dalla caduta accidentale di animali o foglie, ed era costituita da una sorta di cabina realizzata in muratura o anche in legno, coperta con un tetto di piode o coppi; anteriormente aveva una piccola porta, a circa un metro di altezza da terra, spesso chiusa a chiave, attraverso la quale si accedeva al pozzo.
Per prelevare l’acqua, si utilizzava un cilindro di legno posto orizzontalmente e imperniato ai lati della costruzione, era dotato di manici per farlo girare e su di esso veniva arrotolata la corda che permetteva di tirar su il secchio pieno d’acqua.
Poteva capitare che incidentalmente il secchio cadesse in fondo al pozzo, per recuperarlo si attaccava alla corda un ferro con molti ganci chiamato “rampone”.
Strano, ma vero! Anticamente si preferiva bere l’acqua della Sesia, ritenuta più pulita perché corrente, rispetto a quella stagnante del pozzo; nell’ottocento le cose cambiarono!
Oggi qualche pozzo esiste ancora nelle case private, ma la maggior parte è stata interrata; solo il pozzo della Spinella, quello davanti alla fontana di Via Teresa Donizzotti non è stato interrato per espressa volontà dei terrieri che non hanno voluto distruggere quella che ritenevano la fonte di vita delle loro generazioni precedenti, ma lo hanno volutamente coperto con un grosso tombino, per proteggerlo. Questo pozzo era caduto in disuso quando, nel 1861, Pietro Rolandi costruì a poca distanza la prima fontana di Quarona, e venne chiuso nel 1925 quando venne sostituito dalla fontana attuale.
La maggior parte delle case di Quarona era coperta in paglia e forte era il pericolo di incendio; forse proprio per questo motivo si sentiva la necessità di avere a disposizione immediata un serbatoio cui attingere acqua in caso di emergenza.
La realizzazione in posizione centrale di un lavatoio con grandi vasche adibito ad uso pubblico rispondeva a questa esigenza, e permetteva una utenza più ampia e comoda dell’impiego del lavatoio stesso.
Prima della loro costruzione, le donne, le lavandaie, erano costrette ad andare in Sesia o nella Cavaglia per lavare i loro panni, o meglio solo per sciacquarli, perché il bucato “grande” veniva fatto a casa; l’acqua veniva prelevata dalle rogge, dal torrente o dai pozzi, quindi scaldata sul focolare o sul camino, per essere poi impiegata con la cenere nel mastello iniziando il processo ben noto della bügàa.
Solamente chi abitava nelle vicinanze di un corso d’acqua poteva essere facilitato nell’espletamento di questa attività quotidiana.
Tra le rogge, la più importante era la roggia molinara che per la sua ricchezza di utilizzi e riutilizzi non era scevra da problemi derivanti da usi impropri.
Don Erminio Ragozza (02/12/1918 - 19/05/1984) nel suo libro GENTE DELL’ANTICA VALSESIA, vol II, ci ricorda che dal torrente Cavaglia si diramavano anche quattro rogge per l’irrigazione dei prati, in quello che ora è la parte centrale del comune di Quarona.
- Una roggia irrigava i campi dietro la chiesa di Santa Marta,
- Un’altra serviva quella che oggi è la Via Giovanni Lanzio irrigandone i campi a valle,
- Una terza partiva dalla presa d’acqua per il lavatoio e serviva i prati del Riale, tutta quella zona, cioè, dove oggi c’è la scuola media;
- La quarta roggia irrigava i prati Sottile, dove oggi sorgono le scuole elementari, materne e l’asilo nido.
Il primo lavatoio che venne costruito fu quello limitrofo al torrente Cavaglia, in posizione intermedia fra le frazioni Duomo e Cavaglia, proprio per agevolarne l’utilizzo ad entrambe i residenti.
Il progetto è stato redatto il 6 giugno 1867 a Varallo, dal geometra Giambattista Molino: si tratta di una planimetria con sezione trasversale e longitudinale, dettagliata e precisa che rispecchia in modo praticamente inalterato quello che è poi stato realizzato e che era giunto fino a noi; prelevava l’acqua dal torrente Cavaglia tramite uno sbarramento e la conduceva al lavatoio attraverso un piccolo canale che nel progetto sottopassava due volte la strada per Valmaggiore; in tempi recenti, però, la struttura ha subito una variazione di destinazione d’uso ed attualmente ospita la sede dell’UNICEF.
Il Vico non aveva lavatoio, ma non era facile realizzarlo soprattutto perché non c’era la possibilità concreta di alimentarlo con acqua abbondante e pulita.
Si pensò pertanto di derivare l’acqua dal torrente Cavaglia e costruire un lavatoio in località Prati della Valle, proprietà Chiara.
Il Consiglio comunale affrontò questo argomento il 23 dicembre 1906 discutendo intensamente sulle varie opportunità: si caldeggiava la possibilità di disporre di un serbatoio d’acqua in posizione centrale da impiegarsi in caso d’incendio, ma la derivazione sembrava troppo costosa perché lontana, inoltre, in caso di siccità della Cavaglia, non ci sarebbe più stata acqua nel lavatoio già esistente, e gli utenti della frazione Duomo avrebbero potuto opporsi; in alternativa si pensò anche di recuperare l’esubero derivante dalle “quattro fontane del Vico”!
Alla fine della discussione il Consiglio Comunale approvò, invitando però i proprietari che credessero lesi i loro diritti dal fatto della derivazione attraverso i loro terreni, a presentare reclamo entro un tempo determinato.
Probabilmente le opposizioni ci furono ed impedirono la realizzazione del lavatoio, e si continuò solo a parlare e discutere fino al 14 agosto 1911, quando il Comune di Quarona bandì il concorso per la costruzione di un lavatoio al Vico.
La necessità era pressante e l’Amministrazione Comunale si era fatta promotrice, presso la Direzione dello Stabilimento della Cartiera Italiana, perché le concedesse una presa d’acqua dal canale!
La Direzione accettò ed il lavatoio poté essere costruito là dove si trova adesso, appena oltrepassate le sbarre della ferrovia e fu alimentato dall’acqua del canale.
Solo in tempi più recenti gli fu accoppiata un’alimentazione derivante dalla rete idrica comunale che sopperiva i periodi di manutenzione del canale.
Oggi la struttura ospita la Sede degli Alpini di Quarona, ma una parte è rimasta a ricordare il vecchio utilizzo.
Sappiamo molto poco delle nostre fontane e dei nostri lavatoi e non ci sono documenti chiari e completi che ci trasmettano informazioni specifiche sulla loro origine.
Per saperne di più ed avere qualche informazione storica supplementare, ho dovuto affrontare la ricerca attraverso documenti collaterali che mi hanno permesso di ottenere notizie circa la posizione, l’epoca di realizzazione, i proprietari, i committenti, le difficoltà incontrate ecc.
Delle tante fontane presenti a Quarona fino a pochi anni or sono, solamente tre sono rimaste quelle ancora funzionanti e inalterate nella struttura.
La prima è quella di Pietro Rolandi; è la più importante sia perché è stata la prima fontana pubblica costruita a Quarona, sia per il nome illustre di chi la realizzò donandola al paese.
Pietro Rolandi è indubbiamente il più importante personaggio di Quarona.
Quindicesimo di sedici figli di Giovanni Antonio Rolandi e Teresa Perincioli, nacque a Quarona il 3 marzo 1801
Figura di notevole spessore: grande editore e libraio della Londra ottocentesca; nella sua biblioteca si riunivano i più importanti esuli politici italiani, come Giuseppe Mazzini, Santorre di Santarosa, Ugo Foscolo ecc..
Contribuì nella diffusione della cultura italiana nel mondo, nonché alla realizzazione dell’unità d’Italia.
Da Londra prese una residenza anche a Livorno.
Grande viaggiatore, non si dimenticò mai delle sue umili origini quaronesi dove i suoi amici lo chiamavano amabilmente “Pidrin da Londra”.
Morì a Napoli il 7 febbraio 1863.
Con le prime donazioni derivanti dai suoi viaggi, gettò le basi per la fondazione del Museo di Varallo.
A Quarona fece costruire, a proprie spese, tutti i banchi in noce della chiesa parrocchiale di S. Antonio abate che donò, riservandoli alle donne, il 18 ottobre 1845 e che ancor oggi sono perfettamente efficienti; sappiamo che prima di quella data, l’arredamento della chiesa era costituito da panche e sedie di proprietà dei singoli fedeli o famiglie, e che in quella data le hanno riportate a casa!
Con il suo testamento lasciò al Comune di Quarona la fontana, la selva con la sorgente, e la sua casa di Livorno.
Quarona lo ha ricordato nel secondo centenario della nascita organizzando un importante Convegno che si è svolto proprio in questa sede, nel quale hanno partecipato anche i ragazzi della nostre scuole.
Pietro Rolandi fece costruire la fontana nel 1861, compresa la tubatura e la captazione relativa, affrontando in prima persona una spesa che si rivelò ben presto superiore ad ogni previsione; scelse l’ubicazione attuale perché comoda per tutti e centrale nel rione del Vico, trovandosi all’incrocio di diverse strade, nonché in testa al vicolo che immetteva nelle case Rolandi.
Di quest’opera non abbiamo trovato documentazione relativa, né alla progettazione, né alla realizzazione, ma sappiamo che la sorgente era nella sua selva in località Pissoi ai piedi della mulattiera per Valmaggiore (censita nell’antico catasto D’Enricis al N° 1851) e che da lì fece partire lo scavo lungo ottocento metri per la tubazione in piombo fino alla fontana; l’acqua che ne derivò accolse subito il favore della popolazione perché zampillò fresca e buona.
Dal punto di vista architettonico ha una vasca abbastanza grande ed un fondale scenico di tipo classico: presenta un arco montato su due pilastri con capitelli e ornamenti, ha un tetto a capanna e dei vasi di granito ai bordi; reca la data del settembre 1860.
Edificata all’interno di una rientranza della strada, è accompagnata lateralmente da un muro di recinzione realizzato in mattoni rossi e alleggerito da aperture a losanghe verticali.
Desidero evidenziare, in questa Sede, l’atto altamente filantropico di Pietro Rolandi verso i suoi concittadini di Quarona; la fontana non aveva scopo esibizionistico e spettacolare, ma si ispirava puramente a principi igienici.
In quel tempo, l’acqua che si prelevava dai pozzi domestici proveniva abitualmente da falde superficiali che potevano essere inquinate dai pozzi neri perdenti o dalle concimaie delle stalle presenti in quasi tutte le abitazioni. Le infezioni di tifo, molto diffuse, portavano febbri altissime seguite spesso da decesso, specie nei bambini e fu proprio questa fontana che iniziò a soppiantare i pozzi da cui ci si riforniva precedentemente.
Mettere a disposizione nell’abitato della sua Quarona un approvvigionamento per tutti di acqua fresca, sana e priva di batteri fu un atto di squisita filantropia da parte del nostro Pietro Rolandi.
Così commentava “Il Monte Rosa” il 22 maggio 1863, la figura di Pietro Rolandi: “Fece costruire a sue spese un viadotto (acquedotto) che per un tratto di 1000 metri recasse l’acqua a Quarona, di cui aveva penuria, e nel suo testamento provvide al mantenimento di quella sua opera benefica e generosa, legando gran parte dei suoi averi a quel municipio, affinché con cura costante pensasse al mantenimento del viadotto (acquedotto)”.
Anche Giovanni Lanzio fu un benefattore nonché il precursore di altre fontane e finanziò la costruzione di quella che è ubicata in fianco alla Chiesa Parrocchiale di Sant’Antonio abate, l’unica di quella serie che sia giunta fino a noi.
La famiglia Lanzio, è di antica origine quaronese, ma la dizione originale è Lancia, che ad opera delle differenti pronunce del latino, del dialetto o dell’italiano, veniva scritto Lantium, letto Lanzium e quindi Lanzio; trasformazioni lessicali di questo tipo sono avvenute in diversi cognomi nel corso dei secoli.
Questa famiglia era presente nella comunità di Quarona già nella seconda metà del milletrecento con alcuni esponenti notai e sacerdoti, ma il più importante fu proprio il famoso sacerdote Bernardino Lancia (1565 - 1637), curato di Quarona dal 1590 al 1632; a lui si deve:
- La stesura della “Storia della Beata Panacea” nel 1598, su invito del Vescovo Bescapè, in base alle testimonianze raccolte dai quaronesi sulla vicenda della Pastorella uccisa dalla matrigna nel 1383, in sostituzione dell’originale scritta dal parroco dell’epoca Rocco Bonomi e conservata fra due assicelle di noce, ma persa attorno al 1570 probabilmente distrutta da un incendio.
- La costruzione della attuale Chiesa di Sant’Antonio abate con ampliamento dell’antico oratorio agli inizi del milleseicento,
- Il trasferimento della parrocchia da San Giovanni al Monte alla Chiesa di Sant’Antonio abate al piano il 9 ottobre 1617, autorizzata in seguito ad una visita pastorale importantissima del cardinale Taverna confermando, come già le visite precedenti del Bascapè e Speciano avevano preso atto, ormai, la scomodità della Parrocchia di San Giovanni al Monte.
- Le registrazioni anagrafiche parrocchiali, imposte dal Concilio di Trento terminato nel 1563, che a Quarona ebbero inizio proprio nel 1617, in occasione del trasferimento della parrocchia.
Il curato Bernardino Lancia, del quale esiste anche un ritratto conservato nella chiesa della Beata al Piano, alla fine del 1500, abitava nella casa della Beata Panacea che era divenuta abitazione della famiglia Lancia già dopo la morte di Lorenzo padre di Panacea, due secoli prima, alla fine del 1300, come da lui stesso dichiarato.
Tre secoli dopo, ancora nella stessa casa, come ho verificato personalmente nel catasto D’Enricis del 1797, il benefattore Giovanni Lanzio moriva in “Via San Giovanni n° 3” lasciando in eredità la casa ad un suo amico, Marco Zoia fu Giuseppe, cognome dei penultimi proprietari della casa della Beata Panacea.
Per cinque secoli consecutivamente, dunque, la famiglia Lancia visse in quella casa.
Era tradizione mantenere i nomi di famiglia ed imporre ai figli il nome dei nonni alternandoli invariati nel corso dei secoli; il padre del nostro benefattore Giovanni si chiamava Bernardino, in nonno Giovanni ed il bisnonno Bernardino Lancia; questo Bernardino Lancia era anche il bisnonno del mio bisnonno.
Soprannominato Bernardinetto, Giovanni Lanzio, nacque a Quarona il 20 settembre 1811 da Teresa Frascotti, contadina, e Bernardino Lanzio, ottonaio a Varallo.
Il padre, Bernardino era figlio di Giovanni Lancia e Teresa Mognetti, unico figlio maschio con sette sorelle.
Giovanni Lancia ebbe anche un fratellino, Francesco, che morì a sei mesi.
Il 22 6 1819 morì anche la madre Teresa, e il padre Bernardino, allora ventisettenne, convolò a nuove nozze solo tredici giorni dopo, il 5 luglio 1819, con Margherita Borotti, probabilmente per garantire una migliore assistenza al figlioletto di sette anni.
Da questo matrimonio, dodici mesi dopo, nacque Teresa, sorellastra di Giovanni Lanzio, che sarà poi moglie di Giovanni Rolandi, nipote dell’illustre zio Pietro Rolandi, i discendenti di questo ramo della famiglia saranno poi imparentati con i discendenti dei notai Innocenzo Viotti e Giovan Battista Sella, entrambi di Quarona.
Giovanni Lanzio intraprese la professione di ebanista che lo portò a lavorare a Torino, dove sposò Margherita Vinazza, ma non ebbero figli.
Rientrati in tarda età alla patria Quarona cui furono particolarmente legati, vi rimasero fino alla fine dei loro giorni che per la moglie arrivò il 10 febbraio 1886, mentre per lui il 13 maggio 1888.
Giovanni Lanzio, seguendo le orme di Pietro Rolandi, volle adeguare alle esigenze del tempo l’approvvigionamento idrico di Quarona e iniziò una grossa impresa che coinvolse anche lui decisamente oltre ogni previsione.
Per questa ricerca ho recuperato una serie di documenti tra cui un Progetto preventivo nonché una Relazione del geometra Sesone di Borgosesia datata 17 febbraio 1880 nella quale si dichiara che:
Giovanni Lanzio fu Bernardino offerse, a beneficio del Comune di Quarona, tutti i suoi beni immobili posseduti in quel territorio perché venissero realizzati allo scopo di erogare i proventi per la derivazione e costruzione d’una fontana d’acqua potabile a servizio del pubblico.
(Progetto di fontane / Capitoli - Geom. Cristoforo Grober)
(8 luglio 1893 - Perizia Fontana Lanzio - Geom. G. Sesone)
(Resoconto finale)
Il primo progetto esecutivo che abbiamo trovato era del 6 settembre 1880, portava la firma del geometra Cesare Peco e prevedeva quattro fontane:
- La prima in Piazza San Rocco,
- La seconda all’incrocio fra la Via Zuccone e la Via Cavour,
- La terza a metà della Via Zuccone,
- La quarta, in fianco alla Chiesa parrocchiale di Sant’Antonio abate.
Anche il progetto successivo, datato 21 marzo 1881, portava la stessa firma, quella del geometra Cesare Peco, completamente diverso nella forma dal precedente, ma effettivamente identico all’opera realizzata, riguardante solamente la fontana vicino alla Chiesa.
Interamente realizzata in granito, ha una bella vasca di forma semicircolare, scanalata esternamente a conchiglia, non troppo grande, ma completata da un fondale, anch’esso interamente in granito lavorato, racchiuso nella parte alta da una linea mossa; questo fondale, nella parte centrale è attraversato da un pilastro sormontato da un imponente capitello e lateralmente è racchiuso da due pilastri sormontati da anfore in cotto.
Di notevole interesse artistico è contemporaneamente elegante e maestosa.
Questa fontana, per la sua altezza da terra, il suo aspetto e la forma, era chiaramente rivolta agli usi domestici ed alimentari, ma non era stata concepita per abbeverare il bestiame.
Questi sono i progetti originali del complesso delle fontane, che sono riuscito a recuperare:
Varallo, 6 settembre 1880 - Relazione di Perizia - Geom. Cesare Peco (26 pagine)
Varallo, 6 settembre 1880 - Progetto per derivazione e costruzione di N° 4 getti d’acqua potabile o fonti, nell’abitato di Quarona, a servizio dell’abitato della Chiesa - a firma Peco Cesare geometra - questo progetto consiste di tre moduli ed una planimetria:
- Modulo A - Casotto da costruirsi alle due sorgenti - pianta, sezione e prospetto delle piccole costruzioni da realizzarsi lungo la mulattiera per Valmaggiore dove avveniva la captazione dell’acqua.
- Modulo B - Edificio da costruirsi nelle fonti N° I, II, III - Pianta, sezione e prospetto delle tre fontane da costruirsi lungo il tracciato della attuale via Zuccone: una sul lato sud della piazzetta di San Rocco e le altre due rispettivamente ad un terzo e due terzi circa, sul lato nord, sempre della via Zuccone.
- Modulo C - Edificio da costruirsi alla fonte N° 4 in prossimità della Chiesa Parrocchiale - Prospetto e sezione.
- Planimetria - Pianta Abitato di Quarona - rappresenta la zona compresa tra la vecchia mulattiera per Valmaggiore, dove era prevista la captazione dell’acqua, la Chiesa di San Rocco e la Chiesa Parrocchiale; su questo foglio sono curiosamente indicate anche le varie sezioni del tubo di piombo che avrebbe portato l’acqua alle varie fontane.
19 dicembre 1880 - Relazione (per perizia proposta Bracciano) - Geom. Cesare Peco. Varallo, 21 marzo 1881 - (Peco Cesare geometra) - Prospetto dell’edificio di fonte da costruirsi nella piazzetta della Chiesa di Quarona per la sorgente principale - prospetto e pianta - fontana attuale.
Varallo, 10 gennaio 1882 - (Peco Cesare geometra) - Pianta dell’edificio di fonte pubblica eretto nel piazzale avanti alla Chiesa Parrocchiale - pianta del recinto e sezione per le pendenze.
Varallo, 10 gennaio 1882 - (Peco Cesare geometra) - Edificio di fonte pubblica eretto nella piazzetta di San Rocco - Edificio di fonte pubblica, eretto in angolo del prato del sig. Bracciano Luigi - prospetti e piante.
Così commentava il giornale dell’epoca:
Da: IL MONTE ROSA del 10 settembre 1880
Comune di Quarona - Si notifica che alle ore 10 del giorno 26 corrente, nella sala comunale si procederà col sistema delle candele all’appalto dei lavori di costruzione di fontana pubblica, in base al progetto del geometra sig. Peco.
- L’asta sarà regolata dal decreto 4 sett. 1870, ed aperta al prezzo di £ 3.890, quale importo degli elementi.
- L’aggiudicazione seguirà a favore di chi avrà offerto un maggiore ribasso.
- La cauzione di presentarsi dagli aspiranti all’asta sarà corrispondente al decimo dell’ammontare totale delle opere.
- Le opere dovranno essere compiute entro due mesi dall’atto di sottomissione, salvo altri ordini dell’Amministrazione.
- I pagamenti si faranno per metà a metà lavoro e per l’altra metà a opera compiuta.
- La cauzione verrà restituita dopo il collaudo
- Le spese sono a carico del deliberatario, il quale prima di adire all’asta dovrà presentare i debiti certificati di idoneità.
Quarona 8 settembre 1880
Il sindaco Ottina.
Da: IL MONTE ROSA del 19 novembre 1880
Per la generosità dell’egregio signor Lanzio, la importante frazione del nostro comune, che sorge attorno alla Parrocchiale e si allinea lungo la strada provinciale, sarà tra breve provvista d’un’abbondante e saluberrima fontana pubblica. Il Consiglio Comunale, con regolare deliberazione,approvata dalla superiore autorità, accettò lo splendido dono dell’egregio sig. Lanzio, ne deliberò l’attuazione conforme ai disegni del geometra Peco, e accettò pure la nobile offerta del sig. Luigi Bracciano, che concesse il passaggio gratuito dei tubi della nuova fontana traverso la larga estensione dei suoi fondi, ponendo unica condizione alla sua concessione questa: che gli fosse concesso di fare, a tutte sue spese e sempre traverso i suoi fondi, una derivazione secondaria a servizio del gruppo di case che sorge vicino alla casa Bracciano e alla casa della Prebenda, con Bracciano d’avere nell’interno un rubinetto ad esclusivo servizio dei bisogni famigliari della casa stessa.
La deliberazione del Consiglio, come ho detto qui addietro, fu già approvata dall’autorità superiore ed è a quest’ora, per fortuna del paese, diventata irrevocabile. Ma di questi giorni un tale, che da qualche tempo mancava di qui, in una breve apparizione fatta in patria, donde si è però affrettato a scappar via, trovò il diavolo nel SUSCIPIAT blaterò contro le deliberazioni del Consiglio, nelle quali si studiò di far vedere che altro non ci fosse se non un insopportabile atto di favoritismo a vantaggio del signor Bracciano e si pose a raccogliere firme ad una protesta da lui compilata contro le deliberazioni stesse, nello scopo di farle annullare e revocare. Questa protesta è sperabile che non troverà firme di persone che sanno quel che si fanno: a ogni modo poi deve trovare un ostacolo insormontabile nel Consiglio e nella superiore Autorità. Bel regalo si farebbe al Comune, se consentendo agli storti ragionamenti di tale che è professore dell’ingarbugliare ogni cosa, si riescisse a togliere il beneficio dell’acqua potabile ad un gruppo rispettabile di famiglie e far raddoppiare, alle spalle del Comune, la spesa per condurre la fontana dell’egregio Lanzio fin presso la Chiesa Parrocchiale.
Da: IL MONTE ROSA del 10 giugno 1881
Festa a Quarona - Il 16 corrente a Quarona si farà la solenne inaugurazione delle nuove fontane costrutte col generoso dono dell’ottimo popolano Giovanni Lanzio.
PROGRAMMA
Ore 9 - Ricevimento degli invitati alla Festa in casa del suddetto signor Benefattore.
Ore 10 - Sfilata per le vie del paese, preceduti dalla Banda con fermata innanzi alle fontane.
Ore 11 - Discorso analogo alla Festa.
Ore 12 - Pranzo sociale all’Albergo Cavour. Quota 3,50 lire.
Dopo il pranzo - Divertimenti popolari.
Alla sera - Illuminazione alle diverse fontane.
Sono state inoltrate due richieste successive da parte dei terrieri di Via Doccio, a firma del delegato sig. Giuseppe Bassetta, falegname: la prima il 30 dicembre 1924 e la seconda il 3 agosto 1925; essi richiedevano di poter costruire, a loro spese, una fontana, garantendone la proprietà successiva al Comune.
Nelle richieste si mette in evidenza la distanza di questo gruppo di case dalle altre fontane allora esistenti e la necessità di avere, anche in questa zona, un getto d’acqua che potesse sopperire agli usi di carattere domestico, zootecnico e in caso di incendio.
L’area interessata, era quella prospiciente la casa del sig. Bassetta, già peraltro occupata dalla struttura che riparava il vecchio pozzo, probabilmente di origine medioevale detto “della Spinella” che nella richiesta viene descritto come non idoneo a soffocare un principio d’incendio con il secchio.
In data 9 ottobre 1925 viene finalmente concessa l’autorizzazione alla costruzione della fontana, a totale carico dei casigliani che si attivano subito dando mandato al sig. Bassetta di seguire i lavori, incassare i pagamenti dei terrieri e di conservare i documenti relativi, che potevano essere consultati da ognuno dei contribuenti.
Il proprietario del terreno dietro al pozzo era il sig. Marchetti Giovanni fu Leone che si offrì di cedere gratuitamente l’area per la costruzione della nuova fontana, riservandosi in cambio l’utilizzo dell’acqua di risulta della stessa, che andava ad alimentare una fontana privata posta sul retro di quella pubblica e da qui proseguiva verso il lavatoio privato realizzato successivamente.
Rispetto alle altre due fontane rimaste a Quarona è meno imponente da un punto di vista architettonico, ma è quella che ha la vasca più grande di tutte; i privati che sostennero la spesa, la commissionarono alla ditta Barone Olinto.
La vollero far scolpire espressamente molto grande e con quella forma adatta alla funzione promiscua di approvvigionamento ed abbeveratoio, per gli utilizzi relativi alle stalle che esistevano e che erano la loro primaria fonte di sussistenza.
Aveva un fondale costituito da un muro trapezoidale in pietra a vista, ora intonacato, con un pilastro centrale indicante la data della concessione, il 9 ottobre 1925, e sormontato da un capitello a piramide bassa, sempre in granito.
Le opere in ferro furono realizzate da Costantino Gallarotti, compreso il supporto mobile per il secchio che si alzava scavalcando il rubinetto e permettendo l’abbeverata simultanea di più bovine.
Si arretrò poi il muro di recinzione di tutta la strada che fu allargata e intitolata a Teresa Donizzotti.
Sappiamo che è stata realizzata verso la fine del 1800, ma i primi documenti che possiamo consultare della Fontana di Piazza Garibaldi risalgono al 1891 quando Luigi Barone chiede al Comune di effettuarne le necessarie manutenzioni.
Si lamenta, infatti, per le infiltrazioni che crea alla sua casa, per la cantina allagata, la strada perennemente impaludata, e d’inverno ghiacciata con l’enorme masso di ghiaccio che si forma.
In caso contrario ne richiede direttamente la rimozione e ne propone il riposizionamento a 12 metri di distanza circa, offrendo gratuitamente il terreno dalla parte opposta, così da dare anche un nuovo assetto alla Piazza: fuor d’imbarazzo per tutti e danno per nessuno!
Il 14 giugno 1891, il Consiglio Comunale, presieduto dal sindaco Cav. Gaetano Zuccone, risponde che, essendo stati i terrieri a chiedere l’autorizzazione e realizzare l’opera, ma che malgrado le promesse di fornire questa fontana di vasca, queste non erano state mantenute, né c’era in programma un qualsivoglia impegno da parte dei terrieri in tal senso, dichiara che si tolga la causa del danno con la soppressione temporanea della fontana.
Supportato dal parere dei consiglieri, conferma l’idoneità dell’attuale ubicazione della stessa, aggiungendo però che le finanze del Comune non permettono un intervento immediato; in attesa di possibilità future, ne ordina la chiusura per ovviare al danno, salvo che quei signori terrieri si interessassero alla provvista della vasca ed ai lavori occorrenti, a loro spese!
Non sappiamo poi cos’abbiano risolto i terrieri, ma riteniamo che abbiano assolto al loro impegno, anche perché ritroviamo una piantina del 20 febbraio 1908 nella quale figura un rettangolo, in posizione tale, rispetto alla piazza, che si può identificare con una vasca.
Il 30 aprile 1911, tuttavia, il problema dell’igiene pubblica si ripresenta in toni pesanti lamentando “lo sconcio che purtroppo si verifica, causa la molta presenza di persone ad attingere acqua e abbeverare gli animali”; il Consiglio Comunale è d’accordo e decide la soppressione della stessa per liberare la piazza, a favore della realizzazione di altre due fontane da costruirsi poco distanti, una in Corso Rolandi e l’altra in Via Lanzio.
Il 17 maggio 1911 viene finalmente concluso l’accordo con un impegno precario di dodici anni con i proprietari dei terreni, Barone Luigi e Ottina Serafino; vennero quindi realizzate queste due fontane complete di vasche in granito: una in Corso Rolandi nel terreno di Barone Luigi e l’altra in Via Lanzio, dopo la casa della Beata Panacea; di quest’ultima vasca era stata particolarmente curata la parte ornamentale della realizzazione scultorea, ma non abbiamo informazioni di dove possa essere finita.
FONTANA alla frazione Vico - Piazza del Forno Vecchio: in data 30 aprile 1911 il Comune deliberò la costruzione della fontana nella Piazza del Forno Vecchio; abbiamo quest’informazione da una richiesta di rimozione da parte della proprietaria del terreno, Antonietta Defilippi vedova di Luigi Barone, che però non fu accolta, nella seduta del Consiglio Comunale del 21 gennaio 1923.
FONTANA al Piazzarolo del Vico: in data 12 maggio 1889, il Consiglio Comunale delibera di accogliere la domanda sporta dai terrazzani abitanti la parte superiore del Vico di avere una fontana di acqua potabile da realizzarsi a proprie spese; incombenza del Comune rimane il piombo per la conduttura. Quattro anni dopo ci sono delle lamentele legate a problemi di ristagno dell’acqua uscente dalla vasca; troviamo un altro verbale del Consiglio Comunale datato 17 settembre 1893, nel quale il sindaco, Cav. Gaetano Zuccone, dopo matura discussione, nomina una Commissione che si occupi di trasportare il getto in posizione più acconcia, accettando l’offerta di terreno del signor Cracco Luigi.
FONTANA di Via Gian Giacomo Massarotti: In data 13 novembre 1925 viene concessa la costruzione della fontana in Via Gian Giacomo Massarotti accettando un ricorso del sig. Attilio Ferri del 1° novembre 1925.
C’era la FONTANA del Bivio Asilo: aderente all’Asilo Infantile Gaetano Zuccone fra Piazza Libertà e Via Marconi.
La FONTANA di Via Amendola si trovava prima di Via Cristoforo Colombo.
Le FONTANE di Via Dante, erano due, una all’inizio della strada, in corrispondenza della salita ai Roncacci, e l’altra alla fine, all’incrocio con la strada per il Laghetto.
C’era poi la FONTANA lungo la Cavaglia, in corrispondenza del vecchio Municipio, e qualche altra ancora.
Inoltre:
Il 30 giugno 1890, il Consiglio Comunale si esprime a favore del suo presidente, Sindaco Cav. Gaetano Zuccone che fa presente che: “Ogni getto delle pubbliche fontane esca da una colonnetta di ghisa, sia per l’estetica, sia per non dare incomodo ai privati addossando il becco a’ loro muri e sia anche per la durata dell’opera” dandone mandato di acquisto di formato semplice e rispondente al bisogno.
Spesso, le fontane, anche le più povere, erano dotate di una vasca o pila, di granito generalmente rettangolare, perché non servivano solamente agli utilizzi domestici, ma dovevano fornire acqua anche per abbeverare gli animali; col tempo, però, le pile sono sparite, proprio quelle più piccole e sono rimaste solo quelle più importanti.
Vennero poi realizzati alcuni acquedotti, anche da privati, che servivano le loro abitazioni finchè, nel 1931, potenziato l’acquedotto comunale fu consentito a tutti di allacciarsi, previa: domanda al Municipio, pagamento di una quota e rispetto delle condizioni di allacciamento.
La figura dell’idraulico come lo intendiamo oggi, non esisteva ancora e, per far fronte alla grande richiesta di allacciamenti, venne utilizzato del personale recuperato tra gli stagnini ed i fabbri, ma senza esperienza e professionalità; le perdite e gli spruzzi erano continui, le cantine allagate erano all’ordine del giorno ed il lavoro era da rifare!
Ho fin qui trattato delle fontane costruite per consentire l’utilizzo diretto dell’acqua da parte dell’uomo, ma prima di concludere vorrei fare un cenno anche a quelle, diciamo, ornamentali.
Mi riferisco, ad esempio,alla fontana che c’era alla stazione ferroviaria, a quelle ancora efficienti nei giardini di Villa Rolandi, ma, in particolare, alla più significativa: quella del nostro Monumento ai Caduti, uno dei primi edificati in Valsesia, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale.
È costituita da un obelisco monolitico sorretto da un dado, sempre di granito e posto su di una struttura conica in pietre da taglio, al centro di una vasca circolare nella quale si getta una corona di spruzzi d’acqua.
Il monumento è stato di recente spostato dall’originaria ubicazione nel giardino dell’Asilo Infantile Gaetano Zuccone al Parco delle Rimembranze di Quarona.
Non sono essenziali alla vita, sono ben più rare di quelle tradizionali, e sono realizzate per il solo piacere della vista, per il gusto di ammirare questo elemento liquido e trasparente saltellare giocando con la luce e vincere la forza di gravità con uno spruzzo od uno zampillo.